giovedì 25 febbraio 2010

I Pilastri della Terra

Silvia Gregoriani

Il successo di “Mondo senza fine”, l’ultimo acclamato romanzo di Ken Follett, ha stuzzicato in me la voglia di conoscere il best seller cui deve ispirazione: “I pilastri della terra”.

Ambientato nell’Inghilterra del XII secolo il romanzo copre il turbolento cinquantennio che conobbe la guerra civile, dal naufragio della White Ship (il vascello che trasportava il figlio di Enrico I, erede al trono d’Inghilterra) fino alla morte di Thomas Becket, arcivescovo di Canterbury. Intrighi, amori e lotte per il potere costituiscono un fitto intreccio che affascina per la potenza descrittiva fino a sfiorare la dimensione epica.

Ma “I pilastri della terra” è molto più che un semplice bel romanzo. Racchiude infatti, a mio avviso, il principio filosofico secondo il quale esiste una giustizia superiore che governa il fato, alla quale il mondo non può sottrarsi. La scelta dell’ambientazione, in tal senso, non è casuale: il Medioevo è forse il periodo per eccellenza in cui intere nazioni sono piagate dalla forza bruta e dall’oppressione dei potenti. Ed è proprio in questo scenario che si apre il libro ed articola la vicenda. Nelle acque oscure della prepotenza e dell’odio nuotano personaggi come il vescovo Waleran e William Hamleigh, che sembrano schiacciare inesorabilmente coloro che cercano di vivere onestamente e lottare per la virtù. Gli ingranaggi della giustizia, tuttavia, seppur lenti si muovono inesorabili, riportando ordine ed equilibrio. Ciò non significa che tale meccanismo sia perfetto in sé stesso, e dunque basti attendere passivamente perché giustizia sia fatta. Al contrario, bisogna lottare con tutte le proprie forze, nonostante le avversità, ma fiduciosi che il duro lavoro prima o poi darà i frutti sperati. E in quest’ottica agiscono i personaggi, anche i più ferventi religiosi. Follett infatti con questa filosofia abbraccia anche la religione: neppure la fede basta in sé stessa. La dimostrazione è che Philip dovrà lottare tutta la vita, così come Thomas Becket.

Forse la mia analisi si spinge oltre l’intenzione dell’autore, pretendendo di far affiorare qualcosa che non esiste. Ma mi sembra che grazie a questa consapevolezza Follett tracci personaggi molto lontani dai soliti stereotipi. Un amico mi ha fatto notare come, secondo lui, tali figure appaiano troppo emancipate ed “illuminate” per essere credibili in una simile ambientazione storica. Non sono d’accordo. La forza di Follett sta, a mio avviso, nell’aver abolito il binomio stereotipato Medioevo – poca capacità di pensiero. Se è indubbio che si tratti di un periodo storico in cui Chiesa e potenti cercano di soggiogare il popolo con l’ignoranza e la paura (non a caso si parla di secoli bui), è pur vero che l’uomo non ha mai smesso di pensare con la propria testa. Certo si tratta di casi isolati in un mondo che viaggia in direzione contraria, ma credo fermamente siano sempre esistiti personaggi simili, capaci di guardare il mondo coi propri occhi. Troppo spesso capita di veder banalizzare la forza dell’uomo. In fondo, a ben pensare, una situazione simile è solo apparentemente lontana dai nostri giorni.

In un mondo agli antipodi dove l’informazione è a portata di mano, ma quasi sempre “filtrata”, molti sono convinti di poter discernere la verità. Ma quanti ne sono davvero capaci? E forse è per questo che “I pilastri della terra” mi affascina tanto.

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